Vogliono far credere che tutta la questione sia riconducibile ad un mero “Old school VS. New school”, ma è una contrapposizione inventata dai mass-media, che non è mai esistita realmente.
Scrivere o non scrivere, questo è il problema. Una parte di me mi spinge a non scriverci su, consapevole che alcuni personaggi accendono micce per puro marketing, per far parlar di loro e manipolare un vittimismo che non sussiste al fine di conquistare una ‘popolarità’ scaduta in partenza. Per dirla in altre parole, è la stessa cosa delle lettere minatorie che i politici s’inviano da soli. Ora, che gli italiani campino di polemica, è vero quanto lo sono il giorno e la notte; ma è proprio qui che molto spesso si forma il nodo. Se la polemica in tutto e per tutto ci ha sfinito, è pur vero, d’altra parte, che le oligarchie ai vertici dei vari settori produttivi, professionali, istituzionali o artistici, si fanno scudo con questo cliché, spesso celandosi dietro a un’autocommiserazione che non c’è, vestendo i panni del bersaglio preferito degli ‘haters’. Non si può contestare proprio nulla insomma, che appena si apre bocca, si è polemici. Questi signori sanno che l’ipnosi mediatica del berlusconismo ancora è viva e manifesta gli effetti, che giovano indubbiamente loro.
Non mi definisco un’esperta, non dichiaro pubblicamente che chi critica ciò che scrivo è uno ‘sfigato’, un’ ‘hater’ o un ‘looser’, non mi reputo una tuttologa intoccabile, anzi son contenta delle ‘critiche’ (purché costruttive), perché stimolano sempre confronto e riflessione. Odio il gossip. Probabilmente mi trovo a scrivere queste righe perché non ho interessi o voleri altrui (editori, major, caporedattori vincolati e vincolanti, etc.) che forzano la mia penna. Fatta questa piccola premessa, mi sento di dire che un giornalista, quantomeno qualsiasi redattore, dovrebbe attenersi a descrivere i fatti, non enfatizzarli a suo piacimento, per rispettare la sacrosanta libertà del lettore di costruirsi un’opinione. Scrivere un articolo o una recensione, non implica giudizi personali, quelli si esprimono al bar con gli amici. E’ pur vero che se non si è mai studiato almeno un libro di deontologia, questo non si sa, ovviamente. Il problema sorge quando si parla in maniera strumentalizzata e distorta di arte e di artisti, o meglio di eventi e di rappers, attraverso canali che stimolano e in qualche modo canalizzano i gusti di chi ascolta e legge. Esaltare in maniera imbarazzante un evento più o meno discutibile attraverso un magazine come Rolling Stone, idolatrare groupies e veline nei camerini, affermare che “si è chiuso il conto con la old school italiana” e, in riferimento al 4°b-day di Hip Hop Tv: “chi non c’era: o non poteva oppure è relegato al passato” son dichiarazioni impegnative ed anche un po’ troppo grandi, in particolare se scritte da uno dei conduttori della serata, quindi retribuito, quindi naturalmente imparziale. La comunicazione, come tutti sappiamo, è un’arma potente quanto una bomba atomica.
Ora, se si difendono a spada tratta i rappers anni 90’, dopo averli lautamente rinnegati, allora che si facesse qualcosa per farli emergere, per far avere loro un “seguito”, visto che buona parte di loro ancora rappa, ringraziando il cielo. Non che la Zukar sia la responsabile dell’andamento del mercato musicale italiano, ma pare che nel suo piccolo non abbia fatto molto per supportare concretamente i suoi ‘ispiratori’, una volta passata al management. D’altra parte, è utopistico pensare che l’hip hop entri nelle Major, son troppi i limiti che gli s’impongono. Allora c’è chi sceglie: chi non se la sente di “cambiare”, chi invece ci prova perché ama la musica tutta e chi è acciuffato a caso da qualche manager, per i motivi più disparati, ed è trasformato in un rapper da circo. Insomma, promuovere un certo tipo di rap e al contempo rinnegare le ‘radici’, è come dire che Edison fu scarso perché non inventò il LED. D’altronde tutti sanno come funziona la questione: chi si laurea è sfigato, chi si impegna per radicare un movimento culturale è uno scrauso, chi non ha una casa tutta sua è un bamboccione e così via. Si sa che i fighi di questo Paese sono escort, calciatori, mafiosi, raccomandati, cantanti che steccano come cornacchie, ma hanno la bella presenza. Volente o nolente, anche nell’hip hop è filtrato qualcosa. Per molti, prima di essere una cultura basata sulla conoscenza e la condivisione, rappresenta una misera corsa verso non si sa che cosa. Che senso ha, ad esempio, voler fare l’MC a tutti i costi e poi farsi scrivere le strofe a pagamento da qualche collega? Fai il cantante, non c’è mica nulla di male o di cui vergognarsi! Di contro, va pur detto che è inquietante anche il “venduto” affibbiato a prescindere a qualsiasi MC firmi un contratto. Insomma, un po’ di sano ragionamento logico, non fa mai male. Poi che manchi una sorta di “rispetto”’ per gli avi del settore è palese, ma questo più che altro dipende dai modelli educativi individuali. Ahimè. Fa strano, poi, costatare che gente cresciuta con “Fight Da Faida” si ritrovi a spingere gli “Amici di Maria” del rap. Purtroppo, i meccanismi di mercato e gli effetti di un modello di società malata danno una spiegazione più che articolata ad accadimenti del genere.
“Ci sono voluti 15 anni per riprenderci e ritornare al forum di Assago” ha dichiarato in una nota la Zukar. Proprio tanti quanti il berlusconismo, che coincidenza. “Ora, chi vuole rompere questa giostra per salirci sopra?”. Magari fosse una sola. Non si parla di una giostra, l’anomalia esclusivamente italiana è che le Major si sono impadronite e detengono il controllo, più o meno esplicitamente, di tutto il parco giochi. Tutti sanno, tutti si lamentano, ma tutti, più o meno volontariamente, contribuiscono ad alimentare questo mostro. Il compito dei giovani mc, sarà quello di continuare a coltivare un terreno fertilizzato a dovere tanto tempo fa, non importa se con un differente approccio stilistico, purché non riducano la loro mission ad un breve giro di giostra.